Perché la scuola è in ritardo di vent’anni

Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 9 gennaio 2012, www.ilmattino.it

La diagnosi del malessere profondo degli italiani è ormai sul tavolo di chi governa. Il problema dell’Italia è in gran parte la sua scarsità di «capitale umano», come l’ha definito il presidente Mario Monti. Vale a dire il poco valore (segnalato da sempre in questa rubrica) delle competenze scolastiche e formative degli italiani. Di sicuro intuitivi, intelligenti e laboriosi, ma non dotati dalla scuola e da altre agenzie formative delle nozioni necessarie a guadagnare e produrre, oggi.
È un deficit che riguarda tutti, ma è particolarmente preoccupante se si guarda alla situazione giovanile, che rappresenta potenzialmente l’Italia di domani.
Nella popolazione solo poco più della metà (il 54%) ha un diploma, mentre la media Ocse è al 73% (ma già Estonia e Polonia sono attorno al 90%). Meno diplomi significa che sappiamo fare di meno i mestieri e le professioni oggi richieste: da qui disoccupazione ed anche trasferimento di imprese (che vanno dove c’è lavoro qualificato), e contrazione del sistema produttivo.
Dal punto di vista psicologico, è qui che prende forma anche l’indebolimento della spinta vitale e creativa, quella «stagnazione» riconosciuta come un tratto, anche caratteriale, dell’italiano di oggi.
Un sapere debole non significa infatti solo poco guadagno, ma anche depressione, disorientamento, apatia. Il basso livello formativo, la scarsità del capitale umano (più che di quello finanziario, non certo più debole di Estonia e Polonia), è la cartina di tornasole dei nostri problemi profondi. Ad esempio il fatto che l’orientamento scolastico in Italia è ancora gestito prevalentemente dalle famiglie, più che da appositi tutor di cui solo adesso, finalmente, si comincia a parlare.
Un orientamento scolastico affidato ai genitori, però, soprattutto in una cultura «inclusiva» come quella della famiglia italiana, dove i figli vengono visti più come risorsa e spesso proprietà famigliare, che come individui portatori di proprie personalità e vocazioni, non rispecchia le tendenze oggettive della società attuale. Si tende così a proiettare sulle scelte dei figli valori sociali propri delle società passate: da qui si origina l’inflazione di lauree umanistiche, col numero di avvocati e psicologi più alto d’Europa, e la perdurante carenza di competenze scientifiche, e di formazione tecnica.
La formazione che gli italiani hanno avuto negli ultimi vent’anni (e continuano a ricevere oggi), riflette insomma i valori affettivi e culturali degli adulti degli anni ’89-’90: ma da allora è cambiato il mondo.
Questo tratto passatista, obsoleto, del nostro capitale umano dipende anche dal fatto che la formazione oggi è in continuo movimento, mentre noi siamo abituati a una scuola modellata su sistemi di pensiero considerati perenni: l’idealismo, il marxismo…
I giovani formati nella nostra scuola hanno competenze astratte e rigide, invece che realistiche e flessibili, pronte a integrare nuovi saperi, nuovi modi di conoscenza, di produzione, di comunicazione.
La scuola, invece, non è «una volta per tutte», ma va vista in un processo di apprendimento continuo (Long Life Learning), diverso dal monolite che la scuola italiana ancora è. Anche per questo il linguista Tullio De Mauro insiste sull’educazione degli adulti, ricordando al Corriere che «il 71% degli adulti non è in grado di leggere correntemente un documento, un giornale, meno che mai un libro».
Questo è il vero e grande deficit italiano. Quello del capitale umano, delle competenze cognitive indispensabili nel mondo di oggi. Finalmente lo si è detto. Ora va affrontato.

5 Responses to Perché la scuola è in ritardo di vent’anni

  1. antonello says:

    Sicuramente le famiglie avrebbero bisogno informazioni più precise e oggettive riguardo a
    1 le reali capacità dei ragazzi (non tutti infatti devono per forza fare il liceo, eppure le famiglie lo vogliono)
    2 la relazione tra percorso formativo e possibilità future di lavoro (mancano nella scuola orientante info sui dati reali dell’occupazione e sui settori su cui investire)
    3 un atteggiamento coraggioso e meno protettivo sui figli (spesso si ha paura a far fare ai ragazzi qualche km in più che li porterebbe però in scuole o istituti professionali validi).
    Nello stesso tempo però l’investimento dello Stato o delle province/regioni nell’ambito professionale è troppo limitato (numero posti blindato, poca esercitazione pratica, addestramento su strumenti arcaici, disattenzione alla realtà locale occupazionale). Questo è un errore perché aziende e ditte (ma anche meccanici, carrozzerie etc) che hanno bisogno ci sono ma non trovano giovani preparati.
    Inoltre bisognerebbe investire di più sull’apprendistato, anche con umiltà, dato che i giovani vogliono subito guadagnare, non sono disponibili a sacrificarsi e alla flessibilità.
    Conosco ditte che hanno dovuto rifiutare lavori importanti perché non trovano personale giovane disponibile. Peccato perchè in Italia le piccole aziende sono la nostra vera risorsa
    anton

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  2. Roberto says:

    questa volta non condivido. Cioè non si può negare l’inadeguatezza dalla formazione in italia, ma lo declinerei in altro modo. Riassumo per punti quello che non condivido.
    1) storia personale, costretto dalla famiglia a fare studi “tecnici” per trovarmi un “posto”, mentre ero portato per altro ed oggi (55 anni) guadagno meno di mia moglie insegnante di lettere!
    2) La solita “gentiliana” divisione tra “cultura umanistica” e tecnologia, mentre è basilare la cultura scientifica e la ricerca scientifica “di base” (matematica, fisica teorica…)
    3) Il lavori tecnologici “durano poco”. Il tasso di obsolescenza è altissimo e per non riempirci di quarantenni disoccupati occorre capire “CHI PAGA” il reinserimento nel mercato. Le aziende no, contiunuano a licenziare “vecchi” per assumere stagisti…, il lavoratore… dove trova i soldi? lo stato- provincia regione… lo stano in parte facendo ma con sempre meno risorse.
    4) E’ essenziale una cultura “umanistica” di base. A parte la battuta (vera) che Marchionne è laureato in filosofia, sono sempre più necessari i cosiddetti “soft skill”. Secondo lo Standish Group, la maggior parte delle cause dei progetti che falliscono, sono da ricercarsi nei problemi di relazione e comunicazione, non in carenze tecnologiche. Il numero 8 della rivista “Il Project Manager” (l’ultimo uscito) parla della “sindrome di burnout”, “da Mosè s Steve Jobs: la dimensione simbolica della leadership”, ma soprattutto ho troovato interessante una parte dedicata all’ ansia del project manager, che descriveva perfettamente un caso che io ho riscontrato personalmente in un collega.
    4bis) semmai il problema è una “tecnologizzazione della cultura umanistica” (il discorso sarebbe lungo).
    Secondo me la soluzione è una cultura umanistica (analisi logica, dante leopardi latino etimologie….) e scientifica (euclide, logica, basi di calcolo di probabilità e statistica) ed un paio di lingue straniere “ben fatto” per tutti. Poi ci si può cimentare nella tecnica che evolve sempre, oppure, nell’artigianato che permette di esplicare un mondo interiore che, con una buona base sarà sicuramente ricco.

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    • Ciao Roberto, non ho capito il punto 2. Anche secondo me non ha più senso, da tempo, contrapporre cultura umanistica a tecnologia. La cultura di oggi richiederebbe un mixing elevato ( ma estremamente differenziato, secondo le vocazioni, disponibilità e progetti personali) di competenze umanistiche, scientifiche e tecniche. La formazione scolastiche proprio a questo dovrebbe rispondere. Che poi la vita di oggi richieda nel tempo lo sviluppo di competenze diverse, è vero, e sia le aziende che lo Stato, dovrebbero farlo, come accade in molti paesi, anche in Europa. Le tre L riguardano appunto questo, ma in Italia se ne parla pochissimo, a cominciare da partiti e media, che ignorano ampiamente la questione.
      Ritengo che la scuola debba immettere nel mondo del lavoro di oggi, con le sue effettive esigenze e richieste. Comunque a scuola non si conclude certo la formazione: può solo inziarvi, per essere continuata tutta la vita, in ambiti molteplici e diversi, solo in minima parte pubblici. Saluti, Claudio

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  3. Gabriele says:

    Scusate, mi soffermerei un attimo sul punto disoccupazioe..forse perchè per me egoisticamente prioritario. Tra l’altro ho avuto modo di vivere e lavorare nonché studiare all’estero. Ci ritornero’..
    Disoccupazione?Una mia proposta:
    a) eliminazione dei contratti a progetto e dei pseudoconsulenti (nella maggior parte dei casi si tratta di puro outsourcing per risparmiare). Inoltre fa parte di ogni impresa fare dei progetti strategici per la vita della stessa. Allora perchè i loro dipendenti diretti non hanno un contratto a progetto?
    b) eliminazione delle P.IVA non reali, perchè in realtà non ti si vuole assumere!
    c) eliminazione società interinali che ti svendono all’azienda cliente per poter gaudagnare su di te, ormai merce. Inserire invece personale competente nei centri per l’impiego che spero non abbiano finalità di lucro
    d) stipendio minimo garantito per tutti i lavoratori (neolaureati ed esperti) dignitoso in rapporto al costo della vita, con 1000 euro non si va da nessuna parte soprattutto nelle grandi città.
    e) rappresentanza dei lavoratori 25/35 che schiavizzati ormai dalla grande distribuzione e zittiti attraverso coercizioni varie non li sentiamo mai!Chi sciopera è sempre chi sta bene in questo Paese!
    f)flessibilità nella formazione. Invece di disperdere fondi del FSE su corsi inutili e solo per lucrarci attraverso sotterfugi, facessero in modo che un laureato in ingegneria per esempio possa iscriversi a un corso universitario (e non) di fisioterapia, falegnameria, carrozziere, infermiere,.. formula serale/weekend!Ci hanno messo in gabbia e difficilmente riusciamo a cambiare lavoro. In Francia è completamente diverso sotto questo punto di vista.

    Per quanto riguarda la scuola, purtroppo non si insegna ma è una corsa al rispetto dei programmi e delle relative scadenze. Inoltre non c’è serietà e neanche riconscenza per il valore della cultura. Credo che organizzativamente siano strutturati meglio all’estero, ma nonostante le difficoltà credo che il nostro Paese resti la palestra migliore..
    Invece non sono assolutamente d’accordo su delocalizzazione e aggiungerei esternalizzazione. Oggi un lavoro fatto con coscienza interessa a pochissimi imprenditori ed azionisti, a loro interessa solo la remuneratività dell’impresa a fine anno (per comprare lo yacht, la berlina di lusso,..). A quei pochi che interessa l’eccellenza, vedi caso Ferrari..non interessa andare nei paesi asiatici per manodopera specializzata o a basso costo.

    Infine sono figlio di un artigiano professionalmente con i “coglioni”, ma il suo settore è stato abbandonato negli anni da chi doveva fornirgli una consulenza adeguata ed oggi ha molta difficoltà a regger sul mercato. Quasi vicino alla depressione, lavora per inerzia ed anche la passione comincia a spengersi..sono lavori duri e a volte molto vicini all’artista, non tutti potrebbero farlo. Alcuni si imparano veramente negli anni..ma il sistema normativo generale e fiscale soprattutto che vi ruota intorno non ti fa più lavorare tranquillo. Ti costringe quasi a diventare imprenditore..perchè la concentrazione che dovresti avere sul lavoro devi impiegarla in tantissima burocrazia da seguire costantemente.

    Il problema è complesso secondo me e va studiato bene. Ma una volta studiato, va data anche la possibilità a chi ha le mani in pasta di partecipare a tavoli di concertazione. Il sig. Monti si basa su studi di settore che sono stati effettuati da altrettante persone come lui con il … da una vita poggiato dietro una scrivania.

    Mia sorella, ing. elettrico ormai riciclatosi nell’insegnamento, dalla laurea ormai risalente a più di qualche anno fa e master, non è mai riuscita a trovare un “Vecchio” disposto ad insegnarle il mestiere per cui ha studiato. Soltanto proposte di sfruttamento senza insegnamento.

    In questo Paese abbiamo tanti “Vecchi” ma pochissimi degni di questa parola.

    Un saluto

    Gabriele

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  4. antonello says:

    Premetto che sono un insegnante di Lettere da 20 anni. Secondo me invece il ragionamento di Claudio è importante e in linea con le tendenze del lavoro.
    Secondo l’Istat in italia/Europa sta accadendo un fatto nuovo: i nuovi disoccupati (in crescita) non sono più i tradizionali “donne, giovani, meridionali”. I nuovi disoccupati sono gli uomini tra i 35 anni e i 50 anni: se sei out ci rimani. Questo accade anche in Usa ma la “flessibilità” del loro sistema fa sì che queste frange così come escono facilmente dal lavoro così altretttanto facilmente rientrano. Ora, qui, quello che manca
    a) non è una formazione umanistica o una tecnica bensì una “solida formazione” nel rispetto dell’indirizo scelto: a me è capitato di parlare con diplomati di licei importanti che manco hanno letto un’opera intera di Manzoni o Montale così come conosco diplomati dell’ITIs che di fronte a un saldatore x riparare un cavo chiedono a me di farlo.
    b) un sistema che, come dice Risé, formi in itinere, per tutta la vita, aggiornando, creando autonomia etc invece è un fatto l’analfabetismo di ritorno (in realtà anche di andata).
    c) francamente in tanti anni ho sentito tante belle parole e ho visto un sacco di balle
    anton

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