La corrida e il sacrificio della violenza

Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 10 settembre 2007

Abolire le corride? E’ un vecchio dilemma, periodicamente riproposto ai dirigenti politici dei due paesi europei dove si celebrano, la Spagna e la Francia. Ora la passione per cavalli e tori (e corride) del Presidente francese Sarkozy, ha rilanciato il tema in Francia, nel sud della quale i giochi violenti tra uomini e tori sono molto popolari, e fanno parte della cultura locale. Cos’è, però, veramente la corrida? Perché questa strana festa di morte ancora affascina gli esseri umani?
“Perché appaga gli istinti più violenti”, è la risposta più frequente. Non è però sicuro che sia così semplice, anche se la violenza c’entra sicuramente con la popolarità di questa festa. Però la violenza, nella corrida, è più qualcosa da riconoscere nella sua potenza, che qualcosa a cui cedere passivamente. Secondo molti, c’è insomma più “combattimento” con la violenza nella corrida, che in una partita di calcio.
I sostenitori di questa tesi hanno dalla loro la storia delle religioni. Ed almeno due discipline, che illustrano spesso le stesse immagini narrate dalla storia delle religioni: la storia dell’arte, e la psicologia del profondo, che ritrova, nell’inconscio personale e collettivo dell’uomo, ancora quelle stesse immagini e miti.
Tra le più antiche religioni troviamo infatti quella di Mitra, diffusa dall’oriente da cui provenivano i soldati romani che la portarono un po’ ovunque, Spagna e sud della Francia comprese, dove appunto ispirò la significativa festa-rito della corrida. Nel mitraismo, dunque, Mitra è un Dio creatore e salvatore che proprio uccidendo il toro primordiale, e benedicendo il mondo col suo sangue, fa nascere tutti gli animali e le piante, e garantisce la salvezza dell’umanità. La psicologia del profondo leggerà poi in questo mito la necessità per gli uomini di sacrificare gli istinti primordiali, violenti ed arcaici (simboleggiati dal toro), per non venirne catturati e posseduti.
Anche in alcune medicine tradizionali, come quella di Rudolf Steiner, il sacrificio del toro, del lato violento dell’istintualità, è necessario per evitare che l’organismo umano non scivoli in regressioni a livello del sistema vegetativo e animale-pulsionale. Nelle correnti religiose derivate da Zoroastro poi, Mitra, che qui assume a volte lui stesso sembianze taurine, diventa aiutante del dio solare e della luce, Ahura-Mazda, contro quello delle tenebre e degli inferi, il demone Ahriman. E sarà anche qui il sacrificio del toro, col suo sangue caldo, ad impedire che le potenze infernali della freddezza, interessate solo al potere, si impadroniscano della terra.
In tutte queste correnti religiose, e filosofiche, il sacrificio del toro rappresenta dunque un aspetto violento cui l’uomo deve rinunciare per non regredire psicologicamente ad animale, ed insieme qualcosa da onorare per non cadere in un comportamento freddamente intellettualistico, volto solo al potere, come vorrebbe il principio del male.
Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung riconobbe nella corrida il rito che nel corso della storia, e nelle terre intrise di Mitraismo, rappresentò questo potente combattimento, tuttora presente nell’animo umano.
Non saprei se la corrida va mantenuta perché, come dice la signora Francine Yonnet, capo degli allevatori di tori da combattimento: «è meglio veder morire un toro nell’arena che in un mattatoio». La questione infatti riguarda, oltre ai tori, l’uomo stesso. E’ lui che deve ricordarsi di questa lotta centrale che si svolge nella sua psiche, e combatterla. Anche onorando l’avversario, violenza-toro, con una grande festa rituale come la corrida.

4 Responses to La corrida e il sacrificio della violenza

  1. Giuliana says:

    Caro Dott. Risè,
    nel ’93 ho fatto la coda alle 5 del mattino a Las Ventas per poter assistere, da vicino, ad una corrida. Ho anche comprato un santino per avere un aiuto dal cielo per riuscire ad avere un biglietto. Ho visto un rito meraviglioso e sconvolgente: la morte e la vita contenute nello stesso recipiente (la plaza de toros ha la forma di una coppa, per me) e celebrate in una danza, la lotta è più importante della vittoria, l’odore del sangue non è qualcosa a cui siamo abituati e va a toccare corde molto profonde, ma quando esci da una corrida ben fatta sei quasi rigenerato. Perchè la corrida, nel mio caso, ti mette davanti all’evidenza dell’eternità della vita (la zoe) che contiene anche la morte come parte necessaria, e la morte nella corrida è poetica, è arte, è una morte che supera la morte. Nello stesso tempo è una danza erotica: dal momento in cui si cerca di provocare l’embestida del toro a quando lo si finisce con l’ultima stoccata..tre anni dopo stavo cambiando, e del rito la parte più difficile è che il toro era un toro vero, e soffriva davvero, il matador non era un granchè e la sofferenza dell’animale era troppo evidente e troppo poco il rispetto del matador per lui, così non c’era poesia, nè significato: era solo un brutto spettacolo vedere uno che spezza la coda del toro e non riesce a farlo rialzare per poterlo uccidere. Io credo che non sia corretto voler eliminare la corrida: se perderà di significato, finirà per estinguersi da sola: l’importante è che si seguano le regole, che non si renda troppo facile la vita al matador…una corrida con un matador vigliacco è molto simile ad un macello mal fatto. Non c’è un equivalente della corrida: è un’esperienza unica e assistervi ha quasi un senso di iniziazione. Come una rivelazione: c’è la vita, c’è la morte, c’è il trionfo dell’intelligenza sulla forza bruta, c’è la bellezza della danza, ci sono millenni concentrati in un rito. E c’è un’arte antica dietro l’allevamento dei tori e l’abilità dei matadores. Hemingway ha scritto sulla corrida un testo bellissimo (morte nel pomeriggio) poi ci sono le poesie di Federico Garcia Lorca sulla morte di Ignacio Sanchez Mejias. Credo che sia rimasto l’unico sport in cui l’uomo si confronta con l’animale e non con un altro uomo. Il toro rappresenta la bellezza, la forza, la nobiltà, il mistero, la paura, il potere, la sessualità, la fertilità, mentre il torero rappresenta l’astuzia, l’abilità, l’intelligenza, l’arte, la leggerezza…C’è un film molto bello di Almodovar, “Matador”, che indaga il rapporto tra la corrida e l’eros.

    Grazie per l’articolo: è un bellissimo tema su cui riflettere!

    Giuliana

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    • Fabio Paride says:

      Bellissimo commento Giuliana! Sto lavorando ad un cortometraggio che vedrà appunto il monologo di una donna che affronta tale controverso rito. Vorrei chiederle se fosse interessata a partecipare stesura script e testo. Un saluto Fabio Paride email: fpollio@inwind.it

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  2. armando says:

    Confesso. Provo un grandissimo fastidio per chi, in nome di un malinteso, e spesso ipocrita, amore per gli animali, vuole azzerare ogni tradizione, espressione autentica dell’anima popolare, in cui certamente esiste anche la componente violenta, di lotta e di rischio, esattamente come nella vita.
    In Spagna vigliono priobire la Corrida o la corsa coi tori a Pamplona, in Italia il Palio di Siena. Vogliono anestetizzare, omologare, rendere tutto asettico, indifferenziato, anche l’anima, anche i corpi, per meglio controllarli.
    E’ sempre la stessa ideologia che si presenta sotto forme “umanitarie” e pacifiche, ma in realtà è la longa manu di un potere soffocante e totalitario come mai.
    armando

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  3. Roberto says:

    Ideale sarebbe che il livello di auto-conoscenza della propria psiche fosse tale che non ci fosse più bisogno di reppresentare la violenza a livello reale, come in questi riti. Riuscire a rappresentarla dentro se stessi senza proiettarla su di un toro… ma riconosco che a livello collettivo non siamo ancora in grado di raggiungere questo livello. Forse un giorno…

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